D'istinti Sud

Innamorati della Roma ma non dei cliché

martedì, settembre 19, 2006

Stefano Okaka, che gioia

(CORRIERE DELLO SPORT) «So’ partito» . E ride con gli occhi che dicono già tutto e quella faccia da bambino cresciuto, pure un po’ troppo. So’ par­tito
a dirlo è Stefano Chuka Okaka, anni di­ciassette compiuti il nove agosto scorso, primo gol in serie A, alla nona presenza (anzi spezzone), ieri, qui a Siena, a dicias­sette anni un mese e nove giorni, nono nel­la classifica all time tra i baby goleador nel nostro campionato, in un grigio, non per lui e la Roma, diciassette settembre che adesso nei calendari di casa Okaka sarà sempre sottolineato in rosso. So’ partito non è altro che l’efficace sintesi giovanile di quel dopo gol, un piattone de­stro, Manninger tocca, il pallone piano piano supera la linea bianca, la seconda rete tra i pro­fessionisti dopo quella della passata stagione in coppa Italia al Napoli a San Paolo. So’ partito è quella corsa verso la curva colorata di giallorosso, via la maglietta pure se non si può, l’urlo più urlo che si può, un po’ come Daniele De Rossi nel pas­sato campionato sempre da que­ste parti, una festa da ricordare per sempre, «perché questo è il giorno più bello della mia vita, ho realizzato il mio sogno » . Pazienza se il so’ partito vuol dire anche una multa ( «C’è un rego­lamento interno, pagherà la multa, anche se non gli do nessuna tiratina d’orecchi » ha spiegato nel dopo partita Spalletti) per il baby centravanti, nato a Castiglion del Lago, genitori nigeriani, in tribuna qui a Siena papà Austin e mamma Doris che a fine gara regalavano lacrime e sorrisi, un fi­sico da corazziere, una parlata romana con qualche cadenza umbra che è tutto un programma. Allora, so’ partito, raccontaci questo giorno più bello della tua vita: « Grazie, grazie, grazie a tutti. Devo proprio ringra­ziare, la dedica per questo gol è per i miei genitori, ma come faccio a dimenticare la Roma, tutta, mister Spalletti, Bruno Conti, i miei compagni i nostri straordinari tifosi? Confesso, quando ho visto il pallone in por­ta per qualche secondo non ho capito più nulla, ho agito d’istinto, ho cominciato a correre, mi sono tolto la maglia e sono an­dato a festeggiare dai nostri tifosi che ci seguono sempre e dovunque, è stata una goduria quella festa sotto la nostra curva. Mamma mia che emozione, mamma mia che gioia. Sarà impossibile dimenticare. Ah, voglio ringraziare pure Mancini che mi ha dato quel pallone che si è trasformato nel mio primo gol serie A. Poco prima c’e­ro andato vicino, avevo calciato al volo un bel pallone, ma Manninger era piazzato bene e me lo ha bloccato. Pensavo di aver fallito l’attimo fuggente e invece doveva ancora succedere tutto» . Compreso un finale tra il teso e l’indimenticabile. Teso perché dopo la sua esultanza, il senese Bertotto ha avuto qualche cosa da dirgli, i compagni si sono messi in mezzo tra i due, poi c’è stato giusto il tempo per ascoltare il triplice fischio finale. E, Okaka, a quel punto, non ha fatto altro che andare a cercare il pallone, se lo è fatto consegnare, se lo è portato via, è uscito dallo spogliatoio con quel pallo­ne tra le mani, probabile che ieri sera ci sia andato anche a dormire. Ora il vero rischio è credere di essere arrivato: «Io spero di continuare così, ma so bene che sono molto giovane e devo migliorare in tutto. Un ringraziamento speciale, in questo senso, lo voglio fare a Marco Domenichini, il vice di Spalletti, che con me, alla fine di ogni allenamento, ha la pazienza di rimanere in campo per allenarmi sui fondamentali. Però questo giorno me lo voglio proprio godere. Era dallo scorso anno che ci provavo, sapevo che sarebbe arrivato, ma meglio ora che dopo. I compagni mi hanno fatto i complimenti. Totti che per me è un idolo mi ha detto, era ora che segnavi, ora devi continuare così. Sono orgoglioso di far parte di questa Roma e della fiducia che hanno nei miei confronti sia Spalletti che tutti i miei compagni» . Così parlò so’ partito.

Rideva e piangeva. Piangeva e rideva. Papà Okaka, Austin, un signore che se mai vi capiterà di stringergli la mano, preparatevi al dolore. Era qui papà Okaka, insieme a mamma Doris, come sempre del resto quando il loro piccolo (si fa per dire) Stefano è con la prima squadra. Erano seduti in tribuna, a tifare Roma sperando di poter vedere il loro ragazzone gio­care qualche minuto. Non sono mai mancati da quando Stefanone ha cominciato a bazzicare la Roma dei grandi. Perché non avevano nessuna intenzione di perdersi la gioia del grande gior­no, del primo gol in serie A di questo centravanti che, come dice Spalletti, tra tre anni ne avrà venti. Se oggi Okaka veste il giallorosso il merito deve essere diviso a metà tra papà Okaka e un certo Bruno Conti. Vivevano a Castiglion del Lago, ma Stefanone era già lonta­no da casa perchè con il pallone tra i piedi ci sapeva fare, stava crescendo con la maglia del Cittadella e il Milan era ormai a un passo dall’acquisizione del cartellino di quel ragazzino di tredici anni che già era alto una testa più dei suoi coetanei. Ma a Trigoria arrivò una segnalazione, una telefonata di Zibi Boniek a Conti, allora re­sponsabile del settore giovanile romanista, «Bruno c’è un ragazzo che merita di essere visto, si chiama Stefano Okaka» . Conti non se lo fece ri­petere. E quando vide Stefanone, la pensò tale e quale a Boniek. Solo che c’era il Milan un pezzo avanti. Allora Conti invitò papà e Stefanone a Trigoria per un provino, poi bissò l’invito a tutta la famiglia, visto che bella Trigoria? Bella, ma c’erano problemi di lavoro da risolvere per papà Okaka. E che problema c’è? Conti risolse tutto, responsabile del pensionato per papà Okaka, un impiego in una ditta di pulizie per mamma Doris, tutta la famiglia Okaka che si trasferisce a Roma in cambio di sedicimila euro al Cittadella come premio di formazione. Un grande colpo di Bru­no Conti che ieri alla fine della partita gongolava: «Che Dio lo benedica questo ragazzone. Sono proprio felice per il suo gol» .Stefanone è legato alla Roma da un contrat­to sino al giugno 2008 al minimo dello stipendio. Ci sarà tempo per cominciare a guadagnare. Ora è meglio godersi sino in fondo questo momento, come ieri faceva papà Austin: «Sto sudando per l’emozione. Sono felicissimo per Stefano, se lo meritava questo gol. Quando io e mia moglie abbiamo visto il pallone in rete, non ci abbiamo capito più niente. Ora andiamo tutti a festeggiare nella nostra casa a Castiglion del Lago» . La gioia di casa Okaka è anche quella del fratello più grande (possibile?) Carlo e della sorella gemella di Stefanone, Stefania, una grande promessa della nostra pallavolo, campionessa europea juniores con la maglia azzur­ra. Ieri quando ha saputo ha esultato come dopo una schiacciata: «Stefano mi ha appena chiamato, appena l’ho sentito sono scoppiata a piangere. Il nostro grazie è per i genitori che ci hanno trasmesso lo sport nel sangue» . Piero Torri