D'istinti Sud

Innamorati della Roma ma non dei cliché

mercoledì, febbraio 15, 2006

La bufala di Sensi stupratore


Lancio Ansa delle 18.28: «Sensi citato in giudizio per molestie sessuali». Panico. Secondo l'agenzia, la citazione arriva da una ex dipendente di una società di Sensi, la Sodeco, tale M.A.D., che avrebbe chiesto 200.000 euro di risarcimento. I fatti — si legge nell'atto di citazione — sarebbero accaduti tra il 1992 e il 1996. La vittima avrebbe subito più volte violenza sessuale e sarebbe stata ridotta al silenzio pena il licenziamento. La vicenda — fa sapere l'Ansa — ha già avuto un procedimento penale con una querela-denuncia sfociata in una richiesta di archiviazione per intervenuta prescrizione dei reati in base alla legge ex Cirielli. Il panico dura un'oretta. Giusto il tempo di scoprire che il denunciato, in realtà, era un dipendente della Sodeco e che Sensi è stato citato in giudizio solo come presidente della società. La Roma è furibonda: «Le accuse sono infondate, agirò nelle sedi opportune per la tutela e la moralità del mio nome», ha fatto sapere Sensi.

Roma: miracolo economico?

(IL MESSAGGERO) Questa Roma, quella della brutta partenza e l’altra che va a caccia di record, è nata un lunedì mattina. Era il 23 maggio. Il giorno prima la Roma aveva raggiunto la salvezza a Bergamo, grazie a un gol di Cassano, che non parlava ancora spagnolo. In una sala di Trigoria, tre persone: Rosella Sensi, Bruno Conti e Daniele Pradè. Finestre aperte, bel sole, un mare di appunti. I tre studiarono il piano dell’anno.
Bisognava rilanciare una squadra dilaniata, ma senza spendere. Possibilmente, anzi, guadagndoci qualcosa. ”Si può fare”, disse Pradè guardando Conti, che fece sì con la testa. I due spiegarono all’amministratore delegato la strada che avrebbero cercato di percorrere. ”Mi piace: proviamo”, disse la Sensi. A conclusione di un lungo giro di affari, la società si è ritrovata con sei milioni di euro in più e con gli ingaggi abbassati del venticinque per cento. E con la squadra che avete sotto gli occhi e sul conto della quale il giudizio, con il passare dei giorni, è clamorosamente cambiato. Pessima, praticamente da retrocessione, nei primi giorni di vita; bellissima, seducente, miss Italia adesso.
Arrivò anche Spalletti. La società avrebbe voluto Ancelotti, ma quando Carlo scelse Milanello, tutti puntarono sul tecnico dell’Udinese, altre candidature non ci furono.
Non è facile districarsi tra le operazioni ideate e portate a termine e immaginiamo che lo stesso Pradè in quei giorni girasse con un’agenda per gli appuntamenti. D’Agostino è passato al Messina in comproprietà per 750 mila euro. Mezzo Scurto è andato al Chievo in cambio di 250 mila euro. E’ stato riscattato con 500 mila euro Bonanni, spedito poi a Palermo per Curci e per il prestito di Bovo, a metà tra le due società. Pelizzoli è stato offerto alla Reggina, che ne paga l’ingaggio: 1.200.000 euro. Se n’è andato Sartor: risparmiato un ingaggio da un milione. Via anche Zotti, Galloppa ha raddoppiato a Trieste.
Evidente il disegno: mandare via i giocatori che pesavano di più a livello di ingaggio. Anche a costo di non guadagnarci, come nel caso di Pelizzoli. Corvia e Galasso a Terni per Kharja, il cui eventuale riscatto è stato valutato 1.800.000 euro. Alvarez, che era un torinista prestato al Cagliari, è stato preso dal Penarol nel momento della crisi societaria del Toro. Qualora la Roma lo volesse riscattare dovrebbe privarsi di un milione e mezzo. Non poco. Alvarez si è ambientato, è simpatico a tutti, ma il Penarol dovrà abbassare di molto le sue pretese, diciamo attorno ai 200 mila euro.
A questo punto, la Roma doveva acquistare. Ha preso tre calciatori a parametro zero: Nonda, Taddei e Kuffour. Spesa? Niente. Ma adesso i tre valgono e la Roma, qualora decidesse di cederli, potrebbe ricavarne un bel guadagno. Prima della cessione di Cassano, l’attivo era di mezzo milione. Con Cassano al Real si passa a 6 milioni di euro. Soldi che se ne andranno per Mexes, il cui acquisto però risale alla stagione passata. Senza soldi e con una squadra record.
Roberto Renga

giovedì, febbraio 09, 2006

Roma, niente debiti col Fisco


(POPOLO GIALLOROSSO) Niente debiti fiscali per Roma e Milan, Juventus e Inter, Palermo e Fiorentina. L' Agenzia delle Entrate ha fatto il punto sui crediti vantati nei confronti delle societa' di calcio, fino al 30 novembre scorso. E in ''Serie A'' sono 13 le societa', sulle 20 indicate, che non hanno debiti con l' erario.
A certificarlo e' il ministero dell' Economia che, in risposta ad una interrogazione parlamentare, ha depositato alla Camera una ricca documentazione. Dalle tabelle emerge che a guidare il campionato dei debiti, in serie A, e' il Parma con 62,5 milioni dovuti e non pagati (al 30 novembre). Per trovare la squadra al secondo posto bisogna invece saltare in serie B, con il Perugia Calcio al quale sono attribuiti 62,4 milioni di debito. I continui continui monitoraggi e controlli - ha detto il sottosegretario all' Economia Daniele Molgora che sta seguendo la vicenda - stanno dando dei risultati. La situazione e' migliorata. Ma permane la necessita' di verificare quel che e' accaduto nel 2005. Perche' i dati sono fermi al campionato 2004-2005. Dopo aver fatto questa offensiva sulla parte fiscale, occorre avere maggiore conoscenza su quale e' la tipologia dei debiti. Questo perche' se i club non pagano i soldi sui tesserati rischiano di non partecipare al campionato, e questa e' una vera sanzione, mentre nessuna sanzione e' prevista per chi non paga l' Iva o l' Irap. Ecco allora che queste sono altre poste da verificare''.
Paolo Bernacchio

Boati dagli spalti?


(ANSA) Il Cagliari annuncia un esposto alla Federcalcio dopo la sconfitta contro la Roma (due rigori contro e l'espulsione di Bizera). 'Ci sentiamo penalizzati - ha detto il dg Stefano Angioni - E' una questione che va avanti da qualche settimana e anche in questa si sono ripetuti episodi a nostro sfavore: dopo questa partita avremo tre squalificati per domenica. Quanto all'ambiente, abbiamo sentito boati dagli spalti: ma non doveva essere una partita a porte chiuse?'.

mercoledì, febbraio 08, 2006

E' record!


(CORRIERE DELLA SERA) - Finisce con Totti che segna il 4-3, con il gruppo dei giocatori aggrappati alla grata a festeggiare verso il centinaio di tifosi arrivati fino a Rieti e con qualche polemica in tribuna: il dirigente cagliaritano Matteoli se ne va sul secondo rigore assegnato dall’arbitro Girardi e c’è stato anche un battibecco tra il d.s. Pradé e un altro ospite rossoblu (il Cagliari ha anche presentato un esposto al commissario di campo). La Roma fa il record di otto vittorie consecutive e inventa una nuova forma di festeggiamento: gli «scapaccioni» in testa non ad un compagno di squadra, ma ad un avversario, come successo con «zucchina» Chimenti sul 2-2 di De Rossi. Totti adesso rilancia: «Il record? Lo speravo più che immaginarlo: lo abbiamo battuto con la voglia di riscattare l’inizio di campionato. Il merito è dei ragazzi e dello staff, che è stato bravo a ricompattare un gruppo che era disunito. Adesso puntiamo alle dieci vittorie, record assoluto in campionato. Ormai ci siamo, e abbiamo altre due gare alla nostra portata. Le caviglie? Ho tantissimo dolore, ma ho sofferto di più per una botta nel primo tempo, proprio là in mezzo...».
Felice Simone Perrotta, autore dell’1-2: «Una partita strana, una vittoria sofferta e meritata. Il record? Il momento più importante è stato la prima vittoria col Chievo, che ci ha mandato in vacanza tranquilli. Ci tenevamo, ma al di là di questo sono tre punti che ci fanno stare agganciati alla Fiorentina e al quarto posto. La nazionale? Non è un chiodo fisso: volevo dimostrare di essere da Roma e ci sto riuscendo». Taddei commenta la festa finale: «Sapevamo che i nostri erano lì: ci è dispiaciuto giocare senza di loro. Siamo stati bravi a rimanere concentrati fino alla fine. A Siena? Per me non sarà una rivincita». Alvarez, col rigore del 4-3, è stato decisivo: «Il fallo c’era, mi hanno dato una spallata». Mancini è ancora più deciso: «I due rigori erano netti. Con questa vittoria entriamo nella storia».
Spalletti si arrabbia di nuovo con Sky e in particolare con Massimo Mauro che definisce «preoccupante» il rigore del 3-3: «Roma fortunata? In base a che cosa? Totti lo tirano giù da dietro e vediamo anche gli episodi del primo tempo... Questi sono rigori o no? Ma non voglio parlare di questo, dopo otto vittorie di fila. I ragazzi sono stati bravi e ora si devono godere il record. La squadra ha avuto difficoltà a giocare in ambiente surreale e particolare e sul 2-0 è diventato tutto difficile». Lo interrompono con Galliani: «Volevo solo finire, fate parlare Galliani...», e minaccia di andarsene. Chiude Montella: «Ringrazio Totti, che ha detto che servivo anch’io». Unica faccia scura, quella di Panucci poco contento della sostituzione.
Ernesto Menicucci

lunedì, febbraio 06, 2006

Cufrè: dopo la Roma solo l'Argentina


(IL MESSAGGERO) - Ventuno punti nelle ultime sette gare dopo i ventuno delle sedici partite precedenti: cosa è successo?
«Nessun segreto, niente di strano. E’ semplicemente il frutto del nostro lavoro. Un lavoro duro, serio, costante, metodico che, prima o poi, doveva premiarci».
Una Roma di lavoratori, insomma.
«Io ho poche certezze legate alla vita e, quindi, anche al calcio. Una è che il lavoro alla fine paga sempre. Nella nostra professione se uno fa tutte le cose per benino durante gli allenamenti e anche una volta tornato a casa, curando il riposo e l’alimentazione, i risultati arrivano in maniera naturale. Magari in ritardo, come è accaduto a noi, ma arrivano. Sempre».
Perché prima delle sette bellezze i risultati non arrivavano?
«Forse perché avevamo ancora bisogno di lavorare. Ripeto, nessun segreto per spiegare il rendimento attuale. Se mai, c’è un insieme di tante cose. Non eravamo partiti male, poi ci siamo persi un po’ per strada ma anche nei momenti più complicati abbiamo continuato a credere di essere sulla strada giusta. Avevamo ragione noi, visto quanto è accaduto nell’ultimo mese».
Può spiegare meglio che cos’è quell’insieme di cose?
«Via via abbiamo costruito un gruppo solido, ci siamo conosciuti tutti di più migliorando fatalmente i rapporti interpersonali. La squadra ha fatto gruppo fuori dal campo e questa unione pian piano s’è cominciata a vedere anche in campo. Una cosa giusta e bella».
Sette vittorie di fila, però, erano imprevedibili...
«Esatto, e per certi versi sorprendono anche noi. Ma la squadra strada facendo ha imparato una cosa fondamentale, cioè a pensare soltanto alla gara più vicina».
Cioè?
«Non facciamo tabelle, non pensiamo a questo o a quello: il nostro obiettivo è semplicemente vincere la prossima partita. A fine campionato, e soltanto a fine campionato, guarderemo la classifica: farlo adesso, così come fare troppi calcoli, ci penalizzerebbe. La Fiorentina ha vinto ancora, il distacco dalla zona Champions è rimasto invariato ma c’è ancora tanto tempo, il campionato è ancora lungo...».
La qualità a suo giudizio più bella della Roma attuale?
«Facile: tutti corrono, nessuno si risparmia. E questo significa che, per fare un esempio, quando ti senti in difficoltà, ti tranquillizzi in un attimo. Perché sai che non sei mai solo, che c’è sempre un compagno pronto ad aiutarti in ogni angolo del campo».
Il suo ruolo all’interno del gruppo?
«Lavoro, mi metto a disposizione dell’allenatore e, sinceramente, mi sento un giocatore importante. E’ una sensazione gratificante, costruita con l’applicazione continua giorno dopo giorno».
Il suo rapporto con la Roma?
«Non potrò mai dimenticare che nel periodo per me più delicato, cioè quando giocavo poco o niente, nessuno della società mi ha rinfacciato anche la minima cosa o mi ha fatto pesare quella situazione. E, per questo, sarò sempre grato ai dirigenti. Ne ho già parlato con mia moglie: quando terminerà la mia storia con la Roma, torneremo direttamente in Argentina».
Mimmo Ferretti

Totti: prendo troppi calci


(CORRIERE DELLA SERA) - Francesco Totti, come è rinata la Roma? «In campo, con i risultati. Le vittorie sono una grande medicina. Fuori, con l’unità che abbiamo ritrovato al nostro interno. Il resto - gioco, determinazione, continuità - è venuto col tempo. Ce n’è voluto un po’, è vero. Forse dovevamo metabolizzare quanto Spalletti ha cominciato a spiegarci sin dal ritiro di Castelrotto. Ci abbiamo messo qualche mese, ma ci siamo riusciti».
Ma che Roma è questa, tra le molte che ha conosciuto?
«Forse la migliore, per gioco, compattezza e convinzione. Mi pare la più simile a quella dell’ultimo scudetto».
La prendevano in giro, quando diceva che quest’anno avrebbe lottato per il primato...
«Per riprendere la Juve è tardi. Ma a chi ironizzava sul valore di questa squadra do appuntamento a fine campionato».
I meriti di Spalletti?
«Enormi. Non solo ci ha spiegato cosa dovevamo fare per crescere, ma è stato il più bravo a farci capire quello che assolutamente non dovevamo fare».
È il miglior tecnico che ha conosciuto?
«Tra i migliori in assoluto. Per le idee, per la preparazione. Ma anche per la qualità nei rapporti umani. Col gruppo è sempre diretto, aperto, sensibile. Se penso a me, a livello psicologico solo Zeman mi aveva capito quanto lui».
Lei sembra cambiato anche nelle reazioni ai falli che subisce...
«Vero. Sono maturato. Ho capito che con certi atteggiamenti rischiavo solo di farmi del male».
Eppure c’è ancora chi la critica. Non è decisivo, è re solo all’Olimpico: l’ha detto anche Mino Raiola, il manager di Nedved e Ibrahimovic.
«Non mi interessa il parere di questo signore. Le statistiche dicono altro. Se le studiasse, dovrebbe rimangiarsi tutto. Prodezze come il gol che ho segnato all’Inter a San Siro, ad esempio, bastano da sole a dimostrare una realtà diversa».
Da attaccante, ha ripreso a segnare a raffica, senza perdere il vizio dell’assist. Dove la farà giocare Lippi?
«Davanti, credo. Deciderà lui. Ma io sono preoccupato per i Mondiali. I falli fanno parte del gioco, lo so. Ma io prendo troppe botte, ho tutt’e due le caviglie a pezzi. Dopo ogni partita è una sofferenza. Sto fermo un giorno, faccio fisioterapia, poi qualche corsa e poi torno in campo a giocare. Così non riesco mai ad allenarmi come si deve».
A Lippi parlerà di Perrotta e Panucci?
«Lippi sa tutto, non ha bisogno dei miei consigli».
Capitolo Cassano: come si può passare dall’amicizia al gelo?
«Semplicemente con la fine dell’amicizia».
Ma lo segue, nel Real?
«No, seguo solo il Barcellona».
Questa Roma pare un macchina perfetta. Recuperando qualche titolare, come Montella che finalmente è tornato ad allenarsi, non c’è il rischio di rovinarla?
«No. Più siamo meglio è. Specie in attacco, dove i ricambi sono pochi. Anche perché siamo impegnati su tre fronti, ci sono ancora un sacco di partite, ci saranno occasioni per tutti».
Siete ormai lanciati all’inseguimento della Fiorentina. Con quale distacco vorrebbe arrivare al confronto diretto, a Firenze?
«Non faccio questi conti. Spero solo di continuare a raccogliere più punti possibile. Poi si vedrà».
Facciamo altri conti, allora. Dopo il matrimonio, il primo figlio. E la Roma che finalmente rinata. A conti fatti, è questa la stagione più bella della sua vita?
«Sono successe tante cose, tutte molto belle. Ma spero che la vita della mia famiglia possa ancora migliorare. Di certo, quelli trascorsi dal matrimonio in poi sono stati i miei mesi più sereni».
Un sogno per l’avvenire?
«A casa, ho tutto. In campo, che ve lo dico a fa’?».
Stefano Petrucci

Quando si dice il destino


(CORRIERE DELLA SERA) - Tra la Roma e il centravanti del futuro, si è messo di mezzo il destino. Un mediatore scomodo, di quelli difficilmente gestibili: ha il potere di far saltare trattative in dirittura d’arrivo o cambiare il futuro di qualsiasi persona. Lo «sliding doors» di Julio Gonzalez, classe ’81, 191 centimetri di altezza, bomber paraguaiano del Vicenza, c'è stato all’alba del 22 dicembre scorso, sulla A-4 in direzione Padova. Con la sua X5, il fuoristrada che gli ha praticamente salvato la vita, stava accompagnando all’aeroporto di Venezia il compagno ed amico Gerardo Grighini, che ha 17 anni era ancora troppo giovane per guidare. Doveva partire la mattina presto, andava a casa per il Natale, e Gonzalez si era offerto: «Ti porto io, tanto parto nel pomeriggio», gli aveva detto. Anche Julio andava a casa, dove avrebbe anche festeggiato una notizia di quelle che cambiano la vita e una carriera: l’accordo, in pratica già sottoscritto, con la Roma. Un club importante, dopo essersi messo in mostra in serie B: con 8 gol in 15 partite, si era anche candidato ad un posto nella sua nazionale ai Mondiali di Germania. Col club di Trigoria, era quasi tutto fatto: Gonzalez, in scadenza a giugno, era pronto a firmare un quadriennale, a 2 milioni totali di ingaggio con bonus e premi in base a gol e presenze. Nella trattativa, però, si è messo di mezzo il mediatore ingestibile, che si è presentato sotto forma di un tir, messo di traverso sull’autostrada. Gonzalez ha cercato di frenare, ma lo ha preso in pieno. Da solo, con una forza impressionante, è riuscito a piegare le lamiere e sgusciare fuori, controllando le condizioni del baby argentino: illeso, e senza un graffio. Lui, invece, è stato portato all’ospedale di Padova: 12 ore di intervento, tre equipe mediche, il braccio sinistro gravemente lacerato. Qualche settimana dopo, la terribile notizia: arto amputato e carriera finita. Lo «sliding doors» si è richiuso ma Julio si sente un miracolato, al pensiero di poter vedere ancora la moglie e i suoi due bambini.
Ernesto Menicucci

venerdì, febbraio 03, 2006

E le dita negli occhi a Perrotta?


Forse pochi l'hanno notato, durante la diretta tv del concitato finale di Roma-Juventus di Coppa Italia, ma nel bel mezzo di una mischia in area romanista quel bravo ragazzo di Pavel Nedved si è liberato di Perrotta che lo strattonava ficcandogli con violenza le dita negli occhi. Altro che Ibrahimovic o Dacourt, l'unico che andava espulso era Nedved. Il replay ha mostrato (nel silenzio dei commentatori Sandreani e Cerqueti che o non hanno visto o hanno fatto finta di non vedere) una sola volta il gesto, accompagnato da una espressione alla Jack lo Squartatore del calciatore ceco che lasciava pochi dubbi sulla volontarietà dell'atto. Ennesima occasione persa per i nostri soporiferi giornalisti sportivi, che forse a Capello avrebbero dovuto chiedere: "Mister Capello, la ditata negli occhi di Nedved è uno schema provato in allenamento?". Lo facciamo noi per loro.
David Frati

Raiola attacca Totti e incensa il 'povero' Nedved


(IL ROMANISTA) - "All'Olimpico Totti si sente un leone, ma fuori casa...". La stoccata a Francesco Totti la porta Mino Raiola, agente di Pavel Nedved e Zlatan Ibrahimovic, protagonisti mercoledì all'Olimpico della zuffa che ha lasciato i bianconeri in dieci. "In campionato - dice ancora Raiola da "La Gazzetta dello Sport" - il capitano della Roma ha giocato 180 gare in casa e soltanto 150 fuori. Ci sarà pure un perché. Pavel non ha fatto alcun fallo. E comunque s'è preso i suoi rischi in una normale azione di gioco". Totti ha detto che Nedved è un provocatore: "Ce l'ha ancora con lui dai tempi della Lazio. E non ne conosco il motivo. Forse perché Nedved ha avuto il coraggio di andare via da Roma e di vincere qualcosa?". Raiola conclude al veleno: "Darei un consiglio a Totti, visti gli ultimi gravi episodi accaduti all'Olimpico. Sarà impopolare, ma prenda posizione quando sono esposti certi striscioni, giudicati da tutti inqualificabili. Allora sì che cominceremo a stimarlo".

Spalletti dice tutto, o comunque molto


(CORRIERE DELLO SPORT) - La rinascita: "Cominciamo col dire che io non sono un fenomeno. Se le cose ora stanno andando benino, è merito di tutti, a cominciare dai giocatori, visto che sono loro che vanno in campo. Come è nata questa Roma? Ragionando, vedendo, riflettendo, lavorando, vivendola dall'interno, tutti i giorni. Anche il modulo è nato valutando le caratteristiche dei giocatori, pensando a come farle convivere, per poi svilupparle, correggerle, migliorarle. E poi non sempre giochiamo col 4-2-3-1 fisso: spesso diventa un 4-3-3 o un 4-5-1, a seconda dei giocatori che mando in campo. Ad esempio, un conto è quando gioca Tommasi, un conto è quando gioca Mancini. Ma sono tutti discorsi che contano poco se i tuoi giocatori non hanno l'atteggiamento giusto e non rincorrono l'avversario quando ha la palla tra i piedi. Bisogna sempre sviluppare tanta corsa e mobilità: solo questo ci garantisce vantaggi, come l'interscambio dei ruoli, l'attacco agli spazi. Per fare una squadra ci vogliono tre elementi: corsa, resistenza ed equilibrio. Poi, se c'è anche la qualità, tutto gira alla perfezione. Ma la qualità da sola non basta. E poi ci vuole soprattutto solidità: se c'è una base solida, l'allenatore non fa fatica ad essere ascoltato.


La preparazione atletica: "In un campionato così lungo, prima o poi, a tutti capita di attraversare un momento difficile. Io credo che noi, il nostro, lo abbiamo già passato. Ora mi auguro di non doverlo rivivere. Dal punto di vista atletico ora stiamo bene. Il nostro preparatore atletico, Paolo Bertelli, è uno bravo: insieme, ogni anno, abbiamo fatto dei piccoli aggiustamenti sulla preparazione precampionato: quest'anno abbiamo scelto di non partire subito fortissimo, abbiamo già sofferto, speriamo di non pagare ulteriori dazi. C'è anche da dire che i risultati positivi non fanno sentire la fatica: guardate il piccolo calo che si è visto contro la Juve. Credo che fosse più una questione di testa che di gambe: loro a inizio ripresa hanno segnato e in noi è subentrato un po' di timore.

Il gruppo: "Non mi piacciono i discorsi alla squadra, ma parlo con i giocatori anche se non è facile essere sempre persuasivi con tutti. Più che le parole, conta la presenza, la continuità dei comportamenti, esserci lì con loro. E poi ci sono degli uomini del mio staff che hanno più facilità a instaurare un rapporto di confidenza: il mio ruolo può incutere maggiore soggezione. Se si è creato il gruppo è merito loro: dei giocatori, ma anche dello staff. I miei collaboratori sono tutte brave persone. E poi non dimentichiamoci che la Roma ha dirigenti in gamba come Tempestilli, Pradè, Conti. Le cene? Se mi invitano ci vado, ma ho paura di rovinargli il dopocena.


Cassano: "È stato un caso che la sua partenza abbia contribuito a creare il gruppo: sarebbe riduttivo pensarlo. Anche se la sua presenza nello spogliatoio quando diceva di voler andare via non era una cosa positiva. La sua situazione era diventata argomento quotidiano e creava disturbo ad altri componenti del gruppo. È stato lui a dire di voler andar via da Roma: e questa sua visibilità era destabilizzante".

Totti: "Non so se a Parma potrà giocare. Aveva già problemi a una caviglia, ora li ha anche all'altra. Ha subito molti falli mercoledì sera. se un campione come lui può deprimersi a non vincere qui? Totti negli anni ha dimostrato grande affetto per questa realtà e trova soddisfazione in questo. Non posso non essere d'accordo con Pelè quando dice che è il miglior calciatore del mondo: una delle cose che mi hanno spinto a venire a Roma, è stata la possibilità di allenarlo. Sognavo di farlo, sto bene così. E questo farà parte dei racconti che farò a i miei nipotini, e sarà un bel raccontare".


Gli altri giocatori: "All'inizio c'era una situazione da mettere a posto, ma la squadra non stava malissimo, sapevo che ci saremmo tolti delle soddisfazioni. Dovremo arrivare alla fine con la giusta considerazione del nostro valore. Molti volevano andare via, non si rispecchiavano nella realtà in cui vivevano, e invece a Roma, con la piazza che c'è, si sta volentieri. Qui all'inizio c'era un po' di confusione, non poteva che essere così se si voleva buttare via uno come Perrotta. Ora, invece, mi risulta che molti giocatori vogliono venire alla Roma e non potete sapere quanti miei ex giocatori mi hanno chiamato per venire qui con me. Simone è un ottimo giocatore, lo conoscevo dai tempi del Chievo. Il suo nuovo ruolo? Ha le qualità realizzative per giocarci, l'importante è solo fargli prendere confidenza. Anche questo aspetto si può allenare, perché tutto si può allenare soprattutto con i giocatori disponibili. Credo che sia Mancini che Perrotta andranno in Nazionale. Ma un altro da Mondiale è Mexes: se continua così, sarà difficile che non si accorgano di lui. In tanti sono migliorati, ma di lui mi fa estremamente piacere perché è un bravissimo ragazzo e se lo merita. Nella continuità può ancora fare qualche passo avanti. Kuffour? Se torna gli darò il benvenuto: quando ha giocato ha fatto bene. Doni? Se fa una richiesta tanto distante dalla proposta della società e la società mi dice che non può esaudirla, può sorgermi il dubbio che non sia coinvolto nel nostro progetto. E quindi, dopo tanti incontri andati a vuoto, devo fare le mie valutazioni. Personalmente ci sono rimasto male che lui non mi abbia informato di questi problemi, anche perché nei momenti di sua difficoltà in campo, io per lui ci ho messo la faccia. Montella titolare? Quando tornerà avremo un giocatore importante in più e ci farà comodo, per Nonda invece dobbiamo aspettare ancora un mese".


I colleghi: "Ho un ottimo rapporto con Lippi. So che mi ha consigliato alla Juve: è bello sentirselo dire, lo avrà detto per amicizia, ma la Juve non mi ha mai cercato. Un altro che stimo tantissimo è Ancelotti: ha una semplicità di comportamenti straordinaria. È una persona eccezionale e un grande allenatore perché le sue squadre hanno sempre cercato i risultati attraverso il gioco. È stato tra i primi ad aver capito l'importanza del regista davanti alla difesa. Quello che lui ha fatto con Pirlo, noi lo stiamo facendo con De Rossi. I miei modelli? Guidolin che mi ha allenato a Empoli, e Ventura. È un vantaggio aver lavorato già in grandi piazze, per gente come Capello, Mancini, Ancelotti: aver giocato ad alti livelli, ti dà la possibilità di rapportarti meglio con i calciatori. Io sono partito tardi e non avevo le qualità tecniche per diventare un grande giocatore"


La piazza: "Ci sono stati un paio di momenti difficili, ma la piazza mi ha supportato e sopportato, dandomi la possibilità di andare avanti. Mai pensato alle dimissioni. C'è stato un periodo in cui abbiamo provato soluzioni diverse (la difesa a tre, Mancini sulla linea dei centrocampisti) e questo ci ha fatto perdere tempo creando confusione. La verità è che alla squadra bisogna dare pochi segnali, ma precisi e diretti"


Il futuro: "Dobbiamo tenere i giocatori e acquistarne altri: l'importante è averne di bravi. Chivu e Mexes sono una bella coppia, soprattutto in prospettiva, non li cambierei mai con altri. Il mio contratto? Il prossimo anno non è un problema. Allenare la Roma trasmette sensazioni uniche. Ma qui c'è un ambiente che vuole vincere e non si accontenta tanto facilmente. Bisogna riuscire a competere ai massimi livelli e la distanza adesso tra le tre grandi e il resto del campionato è siderale, non colmabile, neanche nel tempo, perché c'è un divario finanziario enorme e possono fare delle rose più ampie. Magari puoi insidiarne una perché ha un'annata negativa, ma oltre non si può andare. Certo, io non ci devo pensare, devo concentrarmi sulla costruzione della mia squadra partita per partita. E comunque non è determinante un allenatore per i successi di una squadra, sono i giocatori i protagonisti".


Il presidente: "Credo che tutti vedano quanto il presidente voglia bene alla Roma e ai ragazzi. Ha fatto enormi sacrifici. Io solo in parte ho conosciuto il suo entusiasmo, ma visto da fuori negli anni passati, sono rimasto impressionato da quanto ha fatto per la Roma e per questa città"

I tifosi: "Voglio fare loro i complimenti per il comportamento di mercoledì sera. E' stata una grande festa sportiva e non vedo perché non possa esserla contro il Cagliari. Mi fa piacere evidenziare che il ministro Pisanu dica che i responsabili degli striscioni nonsiano tifosi romanisti. La società ha saputo comportarsi nel modo più giusto, abbiamo fatto il possibile per evitare certi fenomeni, ma la regola della responsabilità oggettiva andrebbe studiata meglio. Qui i tifosi sono eccezionali: il viaggio da Trigoria all'Olimpico è un'incredibile emozione e quando li senti cantare l'inno di Venditti ti vengono i brividi. E ti chiedi: come fai a non dare tutto per questa gente?"

Paolo Bernacchio