(IL GIORNALE) - Franco Sensi era un’aletta di quelle veloci. E già padrone della situazione. Basta vedere la fotografia in bianco enero, con cornice: tiene i calzettoni inchiavicati nei parastinchi e riceve la coppa, a nome del gruppo di sbarbati. Il pallone che lui da sempre ha chiamato«fubàl» sta alla famiglia Sensi come il Colosseo a Roma. Silvio, il padre di Franco, fu creatore, nel senso di costruttore, del Testaccio.Laddove i romani antichi posavano,o scaricavano, le anfore venne edificato il campo di fubàl con tutta la cronaca a seguire. Il capo,pernulla testaccio, in bronzo di nonno Silvio, sta nella sala grande di villa Pacelli, la stessa dove sono stati firmati contratti e liquidazioni sontuose e dove brilla la fotografia di cui sopra.
Brilla anche il viso di Rosella Sensi, racchiuso nel crine nero e con due olive che sono gli occhi, tutti di suo padre. Fuori, Roma è la Roma più bella che uno possa sognare, incasinata il giusto e profumata di storia. Cosa che accade ascoltando lady Roma, Rosella appunto,che con Cristina e Silvia forma la squadra Sensi, dove Franco resta il capitano e la signora Maria l’allenatore: «Quando il barone Colalucci veniva a casa chiedeva a papà di chiuderci in una stanza, non voleva fastidi, voci di bimbe attorno». Prevedo che da un momentoall’altro possa spuntare FrancoSensi e ci rinchiuda tutti nella stanza medesima. Qui tutto è giallorosso, anche la divisa da lavoro della colf, grembiule vinaccio,guanti gialli di lattice, «maggici».
Rosella aveva sette anni quando debuttò allo stadio: «Era Roma-Perugia, papà ci portò come premio. Io al liceoamavo la filosofia e il greco ma non sopportavo le traduzioni dal latino in italiano. Ricordo tutto di quegli anni, il gol annullato a Turone, la finale con il Liverpool, le polemiche sui giornali».Ma chi glielo fa fare, gentileRosella Sensi? «Mi sono esposta per affetto nei confronti di mio padre, per amore di questa squadra e di questa città. L’ho fatto in un momento difficile, in un mondo che poco mi appartiene perchè non ha pazienza e non hamemoria. Queste sono le cose che non amo del calcio». Proprio a Roma non c’è memoria? «Bastano due partite per dimenticare,nonc’è riconoscenza. Ma io non ho perso la memoria della mia infanzia e di quello che la Roma ha rappresentato per tutti noi». Rispetto a suo padre ha scelto la strada del dialogo. «La conflittualità è servita inun certo periodo, dopo viene la concertazione. Il cambio è un segnale di cultura. Io ho il dovere di recuperare la cultura storica di questa squadra e di questa città. Dobbiamo portare avanti la tradizione». Per esempio Totti.«Non c’è soltanto Totti per tutelare la tradizione romanista. Anche se Francesco oggi rappresenta un caso unico di attaccamento alla maglia, di bandiera. Nemmeno Paolo Maldini ha questo coinvolgimento. Ma la tradizione sta anchenegli altri uomini che sono passati dalla Roma, da chi se ne è andato, come Emerson o Samuel».Totti è il vero padrone della Roma, della piazza, della comunicazione. «Totti è l’artefice di questo fenomeno,èl’esaltazione e la depressione al tempo stesso, ma è doveroso che la piazza abbia un senso di responsabilità superiore. La tutela del calciatore non condiziona la società, chi si comporta bene non crea mai problemi. Totti è un esempio per molti, io lo conosco da una vita, giocavo a carte con lui, ci diamo del tu, va conosciuto, frequentato, scoperto, stiamo lavorando per questo». Lei sta applicando una nuova disciplina, dal caso Cassanoin giù. «Il rigore che stiamo instaurando dovrebbe essere presente anche altrove, un rigore che però non deve limitare lecapacità individuali». Un rigore nei conti. «LaRoma continuerà a puntare a un’alta competività, io cela metterò tutta ma, per farle un esempio,non comprerò dieci giocatori soltanto per dare la sensazione di essere imbattibili».
Passione e professionalità si conciliano a Roma? «Dal lunedì al sabato sì, ma». Ci dica un pregio di suo padre.«Uno solo? Vorrei elencarvi quelli non emersi, la grandissima determinazione, non smette mai di lavorare e ha trasmesso a noi tutti questo senso di responsabilità.Eppoila simpatia,l’essere romano, nelle battute, basta osservare i suoi occhi espressivi». Fatto l’elenco delle cose belle e buone è necessario sottolineare gli errori.«Uno, grosso ma non lo posso dire». Suvvia, uno, grosso può anche a Carraro? «No, quelli non sono stati errori,fanno parte della passione per la Roma. Mio padre ha voluto affermare Roma e quello che veramente è. I modi utilizzati sono figli del carattere e della timidezza, non dell’arroganza». Se non vuole dire di Batistutalo dico io. Allora parliamo di Cassano. «No, il discorso è chiuso». Parliamo di Capello. «Mi ha telefonato per sapere come andavanole cose. Soltanto Moggi, fra tutti, mi ha chiamato quando ho avuto un dolore famigliare. Con mio zio ho perduto un grandissimo affetto. Di Capello non mi è piaciuto il fatto che non abbia salutato mio padre.Malo ringrazio per averci fatto vincere uno scudetto, io ho memoria».
Rosella Sensi diventa capo del calcio. Che fa? «Tre cose. Primo: modifico il regolamento sulla responsabilità oggettiva. Secondo: regolo diversamente l’attuale status dei calciatori e di conseguenza i onntratti, da dipendenti a liberi professionisti. Terzo: divido definitivamente la lega di A da quella di B».C’è una storia che riguardasuo padre, le intercettazioni telefoniche con il designatore Bergamo. "Se c’è una cosa che mi infastidisce è mettere in dubbio la moralità di mio padre. Accetto le critiche ma non i veleni». La Roma lontano da Roma vincerebbe di più.«La Roma è Roma. Sono gli uomini che contano, non l’ambiente. La comunicazione in questa città dovrebbe crescere,ritrovare una cultura sportiva».
Dica di Mazzone. «Vero, leale». Zeman? «Più presuntuoso che altruista». Capello? «Timido, non guarda mai negliocchi». Galliani? «Un signore, amabile». Giraudo? «Ti guarda come se ti volesse prendere in giro». Moggi?«Un grande senso dell’umorismo». Da grande che farà Rosella Sensi? «Vorrei intervistare Kofi Annan e Condoleezza Rice. Avrei voluto fare la giornalista, qualcosa ho scritto, roba mia, personale».Sento passi oltre la porta. Forse Franco Sensi vuole rinchiuderci in un’altra stanza.
Tony Damascelli